venerdì 17 maggio 2024

Parole da salvare

“...Ha fatto bene la società Dante Alighieri a lanciare l'iniziativa “Adotta una parola”, in collaborazione con i grandi dizionari ed il sostegno del “Corriere della Sera”. Ma siamo certi che tutte, proprio tutte le parole meritino di essere salvate? Una volta il grande Stephen Jay Gould si è divertito a scrivere che il panda non dovrebbe essere l'emblema della conservazione. Passa la vita a masticare il suo indigeribile bambù e si riproduce con difficoltà. Insomma, è naturalmente avviato all'estinzione.

Mi chiedo, dunque, se non ci sia anche qualche panda che meriterebbe di sparire dal vocabolario. Non farei a meno di “lapalissiano”, il suo suono scivola via come l’ovvietà. “Pantagruelico” è un sostanzioso omaggio a Rabelais. “Ineffabile” e “oblio” sono due carezze letterarie. E “gibigianna”? La parola adottata da Dario Fo, sembra un coccio linguistico e invece è una perla. Carlo Porta la usava per indicare le donne agghindate e abbaglianti. Per Manzoni c'è un raggio di luce che “gibigianando va”... Molti sono affezionati a “procrastinare”, un'altra rimembranza scolastica che forse potremmo dimenticare. Si incastra in bocca, un po' come “apotropaico”, l'aggettivo scaccia-iella che gli italiani vogliono salvare.

Perché rinunciare ad alcune di queste parole? Per fare un po' di spazio per le nuove. “Antropocene”: è l’era geologica che è cominciata da quando l'uomo ha trasformato profondamente il pianeta Terra. Chi la adotta? “Resilienza”: è la dote degli ecosistemi, dei materiali e persino delle persone che, dopo uno shock, invece di collassare si adattano. Chi non la vorrebbe. “Serendipità” la adottò io. Nella scienza indica una scoperta inattesa, in cui ci si imbatte mentre si stava cercando altro. Un bacio casuale e felice tra ragione e fortuna”. 

Anna Meldolesi


mercoledì 15 maggio 2024

Una sola volta

Una parola come bornio, usata una volta sola da Dante nella Divina Commedia (almeno secondo alcuni manoscritti), figura in un buon dizionario storico. Queste parole usate una volta sola in testi significativi, che possono andare per le mani di tutti, si chiamano “apax” (dal greco antico apax “una volta sola”). Bornio è un apax (anche se poi è stato ripetuto moltissime volte in scritti di commentatori e filologi).

Tullio de Mauro


martedì 14 maggio 2024

Alice Cascherina

“Alice Cascherina “cascava sempre dappertutto”, nel senso che la sua curiosità la catapultava all'interno di oggetti e animali: tra gli ingranaggi di una sveglia, nelle cavità buie di un rubinetto, persino nella sezione di addome luminescente di una lucciola.

Come la sua antenata - l'Alice di Carroll - anche l'Alice di Gianni Rodari attraversa tutti i livelli della realtà senza pregiudizi. Ma mentre l’Alice di Carroll precipita, attraverso la tana del Bianconiglio, in quella logica del sogno (o dell'incubo) spesso usata come analogia narrativa del “controsenso” scientifico, quella di Rodari sembra solo assecondare l'istinto infantile all'esplorazione a 360 gradi: quello sguardo ostinatamente “naturalistico” che induce il bambino a spaccare il giocattolo per capirlo, e che si prolunga in quello dello scienziato davanti al costituenti primari e alle dinamiche profonde della materia. Per dirla tutta, l'Alice di Rodari diventa così un aggraziato invito pedagogico a non temere il “riduzionismo”, a non vedere nella scomposizione della realtà un impoverimento, ma il rivelarsi di spiegazioni spiazzanti e avvincenti. 

È un invito che le scoperte e le invenzioni più recenti rendono ancora più insinuante. Se scendiamo dal nostro livello di organizzazione della materia (case, alberi e montagne) a quello che Mark Haw definisce il “mondo di mezzo” (tutto ciò che sta “tra un decimo e un centesimo dello spessore di un cappello”), vediamo per esempio come la biologia e la genetica stiamo rivoluzionando la nostra visione delle basi molecolari della vita…”

Sandro Modeo


Re Ludwig (3)

Come non pensare alle ambientazioni realizzate da Ludwig leggendo le parole di Wilde: “I greci mettevano nella stanza della sposa le statue di Ermes e di Apollo, affinché ella potesse generare figli altrettanto ben fatti delle opere d'arte che contemplava nell'estasi o nel dolore”.

Per Sua Maestà nonché Cavaliere del Cigno sembra fatta su misura una frase della prefazione a Il ritratto di Dorian Gray: "ogni arte è insieme superficie e simbolo".

Anche nel suo rapporto con Wagner, egli andava oltre il mecenatismo e l'amore per la musica (per la quale, a sentire il maestro, non aveva affatto orecchio), vivendosi come co-creatore delle opere del grande e adorato compositore, mosso dall'intento di servire la causa germanica su di un piano mistico, grazie a rappresentazioni teatrali profondamente drammatiche ed emozionanti, capaci di generare una sorta di comunione inconscia del quale egli potesse essere centro e origine.

La sua era una concezione idealizzata dei sudditi e dei popoli, umili e coesi come grandi organismi viventi; di lì a poco l'Europa intera ne avrebbe constatato la scomparsa definitiva. Inadeguato nel ruolo di monarca costituzionale, soverchiato dai debiti per le sue imprese architettoniche (i fondi provenivano comunque dalla cosiddetta lista civica reale e non dalle casse statali), incapace di modellarsi concretamente in base a ideali troppo elevati per lui, impossibilitato a vivere con misura le componenti più istintuali ed emozionali, Ludwig appariva candidato al fallimento su tutti i fronti. 

Eppure, nel suo sforzo di significare qualcosa egli è riuscito a imprimersi indelebilmente nell'immaginario e addirittura oscurare tutti gli altri regnanti della Baviera.

L'uomo ha bisogno della nozione di regalità, non solo per soddisfare fantasie di potere più o meno illimitato sugli altri e la brama di protagonismo infantile, ma anche per proiettare il desiderio che almeno qualcuno si trovi libero dalle catene della vita materiale e possa ambire a mette sublimi. 

È la speranza nella verticalità, cioè che pochi esseri rari o unici si segnalino per merito, eccellenza, superiorità: il sovrano buono, bello e saggio arbitro di giustizia non meno che di eleganza formale, con beneficio e a edificazione di tutti. 

Théophile Gautier sette anni prima della nascita di Ludwig, illustrando in forma romanzata lo scenario dell'antichità e rimpiangendo di non essere contemporaneo di Sardanapalo o soltanto di Eliogabalo, scriveva: "Oggi, privato di quello spettacolo abbagliante della volontà onnipotente, di quell'alta contemplazione di un'anima umana il cui minimo desiderio si traduce in azioni inaudite, in enormità di granito e di bronzo, il mondo si annoia perdutamente e disperatamente; l'uomo non è più rappresentato nella sua fantasia Imperiale" (Una notte di Cleopatra 1838) 

Ludwig non è stato re sul piano del Potere, ma ha creduto nella rappresentazione dell'Altezza simbolica. La sua genialità è sostanzialmente artistica, la sua è una trascendenza estetica e non etica o spirituale in senso stretto. Lo si pensa dunque volentieri come in uno dei rari dipinti che ne offrono un ritratto, quello del 1880 di Karl Gottlieb Wenig, nel quale egli compare tra le nevi su una slitta rococò dorata trainata da bianchi cavalli e con il seguito in livrea e parrucca del Settecento, vera figura onirica luminosa nella notte innevata.

L'uomo che aveva fatto praticare fori nel soffitto della camera da letto a Hohenschwangau per ottenere l'effetto dei bagliori delle stelle, grazie a lampade a petrolio nella stanza soprastante, era fatto per un mondo che si regge sulla volgarità, la brutalità e l'ignoranza?! 

Immaginandolo scivolare sulle acque di un lago su un'imbarcazione a forma di cigno, oppure assorto in uno dei suoi giardini pensili tra palmizi, pavoni e colibrì, viene spontaneo mormorare con Calderon della Barca: La vida es sueño

Appaiono scritte per l'epitaffio le parole da lui indirizzate nel 1865, appena ventenne, a Wagner: "Quando tutti e due saremo oramai morti da tempo, la nostra opera continuerà a essere uno splendido esempio per la posterità, una gioia per i secoli a venire, e i cuori avvamperanno di entusiasmo per l'arte, questo dono di Dio destinato a vivere in eterno".

Mattia Morretta - Tracce vive. Restauri di vite diverse

lunedì 13 maggio 2024

Re Ludwig (2)

Il ritratto di Ferdinand Piloty del 1865 ce lo mostra all'età di vent'anni bellissimo, statuario eppure aggraziato come un bambolotto di porcellana, con folti capelli ondulati a incorniciare un volto dai tratti delicati (solo le orecchie un po' sporgenti), in alta uniforme militare, pantaloni e guanti bianchi, stivaloni neri sopra il ginocchio, uno splendido manto di ermellino, la fascia rossa dell'Ordine di San Giorgio e la catena di Sant'Uberto. 

Di quella grazia e di quella bellezza già dieci anni dopo restava ben poco. Nelle immagini a partire dalla fine degli anni Sessanta appare gonfio, quasi irriconoscibile (tranne che nella capigliatura arricciata), con un pizzetto scuro, uno sguardo talora allucinato (anche a causa della grave debolezza della vista non corretta da occhiali). 

L'abitudine del bere (di preferenza vino del Reno e champagne mescolati in una coppa d'argento con petali galleggianti), la passione per i dolciumi, l'abuso di idrati di cloralio, laudano, oppio e altre sostanze per combattere terribili nevralgie ed emicranie, nonché insonnie persistenti, facevano la loro parte nell'accelerare la vera e propria decadenza fisica anticipata, decretata in modo violento dalla dentatura irrimediabilmente compromessa (denti marcescenti e mancanti). 

Il giovane sportivo, esperto nuotatore e abile cavallerizzo era stato ormai sostituito da un gigante di oltre 110 kg (per un metro e novanta di altezza), che si muoveva con un'andatura innaturale, nervosa, quasi caricaturale, che viveva di notte e dormiva di giorno, forse intaccato dalle conseguenze della sifilide. 

Mattia Morretta - Tracce vive. Restauri di vite diverse



domenica 12 maggio 2024

Re Ludwig (1)

Sottoposto fin dall'infanzia a una violenta pressione tesa a farne un sovrano modello in senso prettamente formalistico e per scopi politici, Ludwig vi si adegua prima quasi senza opporre resistenza, ma trasforma nel tempo la forzatura esterna in spinta interna autonoma e intenzionale, votandosi a diventare re nella sostanza e semmai a dare nuovamente forma alla sovranità oramai secolarizzata, di pura facciata o da cerimoniale. È sull'autorità divina degli antenati d’elezione che plasma il suo ruolo, i suoi punti di riferimento sono i Borboni dei Gigli e del motto nec pluribus impar, la Versailles di Luigi XIV e Luigi XV, gli antichi dei e personaggi delle saghe teutoniche con i loro valori immutabili e le vicissitudini stra-ordinarie. Egli prova a restaurare l'Assoluto spirituale in un'epoca già molto avanti nel relativismo in tutti gli ambiti di vita e di pensiero. 

L'esercizio del potere in modo diretto, universalistico e totalitario è, al contrario, del tutto avulso dagli intenti programmatici di Ludwig e delle opere in cui si è dedicato. A riprova della scelta in favore di un'autocrazia astratta e culturale insieme, nel 1873 e di nuovo due anni dopo, egli dà addirittura l'incarico ad un funzionario di corte di individuare un territorio di cui poter diventare monarca, nella speranza di liberarsi dalla schiavitù del confronto con il parlamento e con i politici, nonché dai cosiddetti giochi delle alleanze esterne (anzitutto quella sofferta e inevitabile con il temibile cancelliere prussiano Bismark). 

Ludwig cerca pertanto di vivere come se i suoi veri ascendenti e congiunti fossero re e regine d'altri tempi, eroi romantici capaci di intense passioni e imprese gloriose. Al posto dei contemporanei e dei suoi familiari (a cominciare dalla vituperata madre, ritenuta “profanatrice” del castello di Hohenschwangau) pone gli esseri immortali e situa se stesso al di sopra dell’esistenza materiale quotidiana e attuale, ricollegandosi grazie agli ideali artistici e spirituali ai grandi del passato e proiettandosi in tal modo nel futuro; perché ciò che conta e rimane, a maggior ragione per i re, non sono gli onori mondani e i piaceri contingenti, bensì la capacità di impersonare con convinzione la tensione dell'uomo alla perfezione, qualunque sia il posto assegnato dall'epoca e dalla vita. 

L'essere che aspira/ambisce a farsi re deve rinunciare a se stesso come individuo, divenire una funzione personificata e concentrarsi sullo sviluppo delle doti soggettive consone alla rappresentazione, accettando il sacrificio, la solitudine radicale e l'incomprensione.

...

Dopo l'indecisione iniziale circa la capacità di reggere un destino da solitario, che l'aveva condotto nel 1867, ventiduenne, ad un frettoloso fidanzamento (del tutto formale) con la sorella minore dell'imperatrice Sissi, per altro sciolto e archiviato nello stesso anno, egli ha ignorato apertamente le aspettative altrui, familiari e sociali, in tale ambito e affermato fieramente il diritto e non sottostare al debito di mostrarsi quale non era dal punto di vista sessuale. 

Lo stile di vita eccentrico e non conformistico non poteva passare inosservato, così come i comportamenti più intimi non lasciavano adito a diverse interpretazioni circa la sua inclinazione verso i membri dello stesso sesso (era giunto persino a chiedere al suo medico, il dottor Gietl, di redigere un certificato che attestasse la sua non idoneità al matrimonio).

Ludwig da un certo punto in poi punta a scomparire come uomo, annullandosi e trascurandosi fisicamente per trasformarsi in personaggio ed effigie. Col tempo evita il più possibile di trovarsi nella condizione di essere osservato e piuttosto fa in modo di essere visto e di apparire come una figura teatrale, sia nelle parate scenografiche per lo più notturne sia nelle sue straordinarie architetture, con le quali scolpisce nella pietra e nei manufatti il suo nome per l'eternità.

Mattia Moretta - Tracce vive. Restauri di vite diverse 



sabato 11 maggio 2024

Lo scopo della vita: accompagnare la sopravvivenza con un’abbondanza di benessere

Il modo più diretto con cui la vita realizza il proprio mantenimento consiste nel seguire i precetti dell'omeostasi: un intricato insieme di procedure di controllo che resero possibile la vita stessa quando esordì nei primi organismi unicellulari. Poi, quando infine si affermarono forme pluricellulari e multisistemiche - cosa che accadde all'incirca 3 miliardi e mezzo di anni dopo -, l'omeostasi fu coadiuvata da dispositivi coordinatori di nuova evoluzione, noti come sistemi nervosi. La scena era pronta perché questi ultimi non solo dirigessero le azioni, ma provvedessero anche a rappresentare degli schemi (patterns): erano in arrivo mappe e immagini, e il risultato fu la mente - la mente capace di sentire e dotata di coscienza, resa possibile dai sistemi nervosi. A poco a poco, nell'arco di qualche centinaio di milioni di anni, l'omeostasi cominciò a essere in parte governata dalle menti; adesso, perché la vita fosse gestita ancora meglio, tutto quello che occorreva era il ragionamento creativo basato sulla conoscenza memorizzata. I sentimenti da un lato, e il ragionamento creativo dall'altro, finirono per coprire ruoli importanti nel nuovo livello di controllo consentito dalla coscienza. Tali sviluppi amplificarono lo scopo della vita: la sopravvivenza, certo, ma con un’abbondanza di benessere derivante in buona parte dall'esperienza delle sue stesse creazioni intelligenti.

Antonio Damasio  Sentire e conoscere