Aristotele - Frammenti



Frammenti di testo tratti dall'Etica Nicomachea'



"...è costruendo che si impara a costruire, è suonando la citara che si diviene citaristi.

"Allo stesso modo, è esercitandoci a fare azioni giuste che diventiamo giusti, è agendo con moderazione che diventiamo moderati..."

Per questo motivo "i legislatori cercano di creare nei loro concittadini le abitudini che li rendano buoni cittadini: è proprio questo l’obiettivo di qualsiasi legislatore "

"...c’è una somiglianza tra le azioni e gli stati che le precedono."

"Se di fronte a un pericolo ho paura e cedo di fronte a questa paura, l'azione che ne seguirà sarà la fuga. A forza di cedere davanti alle situazioni di pericolo prevarrà in me l'abitudine di fuggire."

"L’importanza di acquisire questa o quella abitudine sin da piccoli non è quindi marginale, ma è decisiva: tutto ne dipende."

"...le azioni con cui la virtù nasce sono anche quelle che la fanno crescere o morire... quelle con cui la virtù è nata sono anche quelle in cui si manifesta in atto."

"Ma... che cosa si vuole dire affermando che si deve fare ciò che è giusto per diventare giusti, o che si deve fare qualcosa di moderato per diventare persone capaci di moderazione. In effetti se si fa ciò che è giusto e moderato, si è già giusti e moderati!

"Dal momento che nell’anima troviamo passioni, potenzialità e tendenze, la virtù deve essere una di queste cose..."

"Ora, per passione io intendo: desiderio, ira, paura, animosità, invidia, gioia, amore, odio, tristezza, gelosia, pietà, insomma tutto ciò da cui segue piacere e dolore.
Per potenzialità intendo: quel che consente di dire che siamo capaci di provare una certa passione, per esempio che siamo capaci di adirarci, o di provare dolore o pietà.
Per tendenza intendo: quel che fa sì che noi siamo inclini o non inclini verso queste passioni. Se per esempio siamo fortemente o debolmente tendenti all’ira, allora siamo poco inclini; se invece siamo mediamente tendenti verso l’ira, allora siamo ben disposti verso di essa. E così è per le altre passioni.

"Se le virtù non sono né passioni né potenzialità, evidentemente sono delle tendenze."

"... la virtù dell’occhio fa sì che quest’organo sia perfetto e svolga bene il proprio compito: e infatti la virtù dell’occhio consiste nel farci veder bene. Parallelamente, la virtù del cavallo è di essere un buon cavallo, perfetto per la corsa, per portare chi lo cavalca e per reggere di fronte ai nemici.
Quindi, se questo è vero sempre, allora è anche vero che la virtù dell’uomo deve essere quella particolare tendenza che lo rende un uomo buono e che gli permette di svolgere il suo specifico compito."

"Sia nelle realtà continue che in quelle divisibili possiamo trovare il più, il meno e l’eguale. E lo si trova sia nella realtà stessa, sia in rapporto a noi. Ora, l’eguale è una sorta di punto di mezzo tra l’eccesso e il difetto.
Per ciascuna realtà chiamo posizione di mezzo ciò che si trova a eguale distanza da ciascuno dei due estremi, posizione che è una e una sola per ciascuna realtà. Chiamo invece posizione di mezzo rispetto a noi quel punto che non è, per noi, né troppo, né troppo poco; e non è certo una cosa unica: non è lo stesso punto di mezzo per tutti.
Per esempio, se dieci è troppo e due poco, sei è il numero intermedio della serie, perché supera ed è superato da una quantità eguale. E questo numero è infatti intermedio secondo la proporzione numerica. Invece la posizione intermedia relativa a noi stessi non deve essere determinato in questo modo. Infatti se per un uomo dieci mine di cibo sono troppe e due poche, chi stabilisce la dieta non sempre prescriverà sei mine, perché forse sono ancora molte per uno, e poche per un altro. Per Milone (1), infatti, saranno poche, ma per un principiante di ginnastica potrebbero essere molte."

Nota 1: Aristotele scrive nel IV secolo a.C. Milone è un atleta del VI, citato quindi come esempio paradigmatico di ginnasta che si è espresso ai massimi  livelli ed è divenuto proverbiale per la sua bravura.

"L’esperto quindi evita l’eccesso e il difetto. Cerca al contrario il punto di mezzo e lo pone come obiettivo. E questo mezzo non è quello della cosa, ma è quello determinato in relazione a noi. Quindi, se ogni scienza riesce bene nel proprio compito proprio mirando al punto medio e andando in questa direzione nel produrre le proprie opere – da qui viene l’abitudine di dire, a proposito delle opere riuscite, che non hanno nulla né di poco né di troppo, con l’idea che l’eccesso e il difetto rovinano la perfezione, mentre il punto intermedio la realizza -, e se d’altra parte i bravi artigiani, come si dice, hanno di mira questa perfezione quando lavorano, allora la virtù che, come la natura, supera in rigore e in valore ogni forma d’arte, deve mirare al punto di mezzo."

"Io parlo della virtù etica, cioè di quella che riguarda passioni e azioni. Ora, in questo campo c’è un eccesso, un difetto e un mezzo. Esempio: si può essere paurosi, oppure coraggiosi, provare dei desideri, irritarsi, provare pietà o, in definitiva, provare piacere e dolore, sia troppo che troppo poco, e non va bene in nessuno dei due casi..."

"Ora, la virtù riguarda passioni e azioni in cui l’eccesso e il difetto sono un errore, oggetto di critiche, mentre il punto di mezzo è apprezzato e visto positivamente. E questi due tratti sono tipici della virtù. Dunque la virtù è una sorta di medietà, proprio perché mira sempre ad una posizione intermedia tra un eccesso e un difetto."

"... l’errore ha molti volti, mentre il giusto ne ha uno solo. È per questo che il male è facile e il bene difficile: è facile mancare il bersaglio, difficile è centrarlo. Quindi il vizio e legato all’eccesso e al difetto, la virtù è legata alla posizione intermedia. 'Si è nobili in un sol modo, villani in molti modi' (2)”.

Nota 2: Non sappiamo di chi sia questo verso, né a quale opera appartenga.

"... la virtù è una tendenza della nostra vita interiore che mira al giusto mezzo, identificato rispetto a noi. Questa definizione è razionale ed è quella che darebbe un uomo saggio. D’altra parte alcuni vizi sono tali per eccesso, altri per difetto; e infatti i vizi o restano al di qua, o vanno al di là, del giusto nelle passioni e nelle azioni, mentre la virtù identifica il giusto mezzo e lo sceglie."

"È anche vero però che non è possibile trovare in ogni genere di azione o di passione un punto intermedio. Alcune hanno un nome che le associa immediatamente a qualcosa di perverso: per esempio la gioia maligna, l’impudenza, l’invidia e, tra le azioni, l’adulterio, il furto, l’omicidio. Tutte queste cose, in effetti, e quelle dello stresso tipo sono da respingere per essere in sé stesse cattive, e non è l’eccesso o il difetto, in questi casi, a renderle tali. Quando si tratta di simili passioni o azioni non è mai possibile agire correttamente; si è sempre in errore in questi casi. Non è mai possibile trovare del bene o del male, ad esempio, nel commettere adulterio con una persona piuttosto che con un’altra, né c’è mai un caso in cui è necessario commetterlo, né un modo corretto per farlo; al contrario, sono azioni che, comunque si commettano, si sbaglia."

"Non dobbiamo però fermarci a queste tesi generali. È infatti necessario applicarle ai casi particolari. Infatti per le azioni le tesi generali sono sempre un po’ vuote, mentre quelle legate ai casi particolari sono più ricche di verità perché le azioni appartengono al dominio delle cose particolari ed è su questo terreno che la ricerca ci deve portare."

"Così dunque, quando sono in gioco passioni come la paura e la temerarietà, il giusto mezzo è il coraggio. Chi sbaglia per eccesso di paura non lo si indica con un nome specifico (capita spesso che il nostro linguaggio manchi di parole precise), mentre chi nutre una eccessiva fiducia di sé lo si dice temerario; quanto a chi da un lato è dominato da una eccessiva paura, dall’altro manca di spirito d’iniziativa, è un vigliacco."

"Quando invece sono in gioco i piaceri e i dolori (non tutti, però, soprattutto se parliamo dei dolori), il giusto mezzo è la moderazione e l’eccesso è l’intemperanza. Certo, di persone troppo poco sensibili ai piaceri non se ne incontrano molte. È forse per questo che non c’è un termine specifico per indicarli, però possiamo dire che sono degli insensibili."

"Quando è in gioco il denaro. Se si tratta di piccole somme. - Quando si tratta di dare del denaro o di procurarselo, il giusto mezzo è la generosità, mentre l’eccesso e il difetto sono, rispettivamente, la prodigalità e l’avarizia, vizi questi che sono reciprocamente contrari tanto per l’eccesso che per il difetto. Il prodigo infatti da una parte dà via il denaro in maniera eccessiva, dall’altra è in difetto nel cercarlo, mentre l’avaro da un lato se ne accaparra in maniera eccessiva, d’altra parte ne spende troppo poco."

Se si tratta di grandi somme - Quando è in gioco il denaro, si danno poi anche altri modi di essere e di comportarsi. Medietà è la magnificenza. Il magnifico infatti si distingue dal generoso perché il primo ha a che fare con grandi somme, il secondo con piccole. L’eccesso corrispondente è l’ostentazione o la volgarità, e il difetto è la meschineria. Questi vizi differiscono da quelli relativi alla generosità, ma quale sia questa differenza lo diremo più avanti."

"Quando invece sono in gioco l’onore o il disonore, il giusto mezzo è la magnanimità, l’eccesso è forse una sorta di vanità, e la mancanza è la pusillanimità.
Ma se, come abbiamo detto che riguardo alla magnificenza la generosità differisce perché in essa sono in gioco piccole somme, parallelamente riguardo alla magnanimità che implica grandi onori deve esserci un’altra virtù che implichi un onore di minore importanza.
Si può infatti aspirare all’onore come è giusto che si debba fare, oppure troppo o troppo poco. Ora, chiamiamo ambizioso chi nutre aspirazioni eccessive, chiamiamo modesto chi manca d’ambiziosne, ma chi mantiene una via intermedia tra questo eccesso e questo difetto non ha un nome preciso. E quindi non esistono nomi per indicare le tendenze corrispondenti..."

"Quando è in gioco l’ira, anche lì c’è un eccesso, un difetto e una via di mezzo, ma di fatto non hanno nome. Tuttavia, visto che chiamiamo bonario chi segue la via di mezzo, potremmo chiamare bonarietà questa via mediana. Quanto agli estremi, chi eccede può esser chiamato irascibile, e il vizio corrispondente irascibilità; chi invece manca per difetto, è in definitiva uno che non si lascia irritare da niente e il suo vizio e l’incapacità di irritarsi."

"Ci sono poi altre tre medietà che presentano alcune somiglianze tra loro, anche se sono in realtà differenti le une dalle altre. Tutte infatti riguardano le relazioni, in parole ed azioni, proprie della vita in società. Sono differenti perché una concerne ciò che può esserci di vero in queste relazioni, e le altre due si riferiscono a quello che può esserci di piacevole, sia nel gioco, sia in tutti gli altri aspetti dell’esistenza. Dobbiamo parlare anche di queste per meglio renderci conto che, in ogni caso, la via di mezzo è la migliore, mentre le vie estreme non sono né corrette né apprezzabili, ma sono da criticare. Certo, la maggior parte delle tendenze del nostro animo non hanno un nome, ma bisogna tentare, con negli altri casi, di dargliene uno, per esigenze di chiarezza e per poter seguire le vie di mezzo che questi nomi indicano."

"Così dunque quando è in gioco la verità chi tiene la via di mezzo è una persona franca e la virtù corrispondente è la franchezza. Invece allontanandosi dalla verità, se si eccede si cade nella millanteria, e chi segue questa via è un millantatore, se si dissimula per tartuferia, si cade nell’ironia, e chi si comporta così è uno ironico."

"Quando si tratta della piacevolezza che deriva dal gioco, chi tiene la via di mezzo è una persona di spirito, mentre chi eccede cade nella buffoneria e diventa un buffone; chi invece cade nel difetto opposto, è una persona che manca del tutto si spirito, è rozzo.

"Sulla piacevolezza in generale. Quando invece si tratta della piacevolezza negli altri aspetti dell’esistenza, chi è piacevole come si conviene è una persona socievole e la via di mezzo che egli segue è la socievolezza. Invece chi eccede, senza peraltro perseguire alcun secondo fine, è una persona compiacente, mentre se lo fa perseguendo un proprio interesse, è un adulatore. Quanto a chi manca di tatto, e si dimostra in ogni cosa sgradevole, è in qualche modo una persona litigiosa e scorbutica."

"Anche nelle passioni, quando esse sono in gioco, c’è una via di mezzo. Il pudore, per esempio, non è una virtù, ma parliamo egualmente bene di chi è pudico perché su questo tema uno, si dice, tiene la via di mezzo, l’altro è eccessivo, e un altro manca di riservatezza. L’eccessivo somiglia al timido, che si vergogna di tutto, chi invece manca di ogni riservatezza non si vergogna assolutamente di nulla. Il pudico è chi tiene la via di mezzo."

"Quanto all’indignazione, è una via di mezzo tra l’invidia e la gioia maligna. Quel che è in gioco infatti è il dolore o il piacere che proviamo a seconda di quello che capita agli altri. Infatti chi è portato ad indignarsi prova dispiacere per i successi degli altri quando ritiene non li abbiano meritati, mentre l’invidioso, che è un eccessivo, prova dispiacere per qualsiasi successo degli altri. Chi invece prova gioia maligna, non si dispiace proprio di nulla, ma gioisce del male altrui."

"La giustizia, da parte sua, non può essere intesa in un solo modo; la distingueremo quindi più avanti nei due modi in cui è possibile concepire questa virtù e chiariremo in che senso si tratta di vie di mezzo. Parallelamente, tratteremo delle virtù razionali."

"Le tendenze dell’animo umano sono quindi tre: due sono vizi, per eccesso e per difetto, e una sola è la virtù, la via di mezzo. Ciascuna tendenza si trova quindi in conflitto con le altre in una specifica maniera, perché le tendenze estreme sono sia contrarie alla tendenza intermedia sia contrarie tra loro, così come la tendenza intermedia è contraria alle estreme.

"Infatti, come l’uguale rispetto al minore è maggiore, e rispetto al maggiore è minore, nello stesso modo le tendenze dell’animo che segue la via di mezzo tra due estremi sono eccessi in rapporto ai difetti, ma difetti in rapporto agli eccessi, sia nelle passioni che nelle azioni.
Così i coraggiosi, paragonati ai deboli, sembrano temerari, ma paragonati ai temerari, sembrano deboli. E lo stesso accade per il temperante: sembra intemperante rispetto a chi è insensibile, ma in paragone all’intemperante sembra insensibile; e il generoso, se paragonato all’avaro, sembra uno che butta i soldi, ma paragonato a chi davvero butta i soldi sembra avaro.
È per questo che gli estremi spingono chi tiene la posizione di mezzo ciascuno verso l’altro, e il coraggioso, per un vigliacco, è un temerario, ma per un temerario è un vigliacco; e in tutti gli altri casi si osserva un fenomeno analogo."

"Ora, visto che le opposizioni reciproche sono queste, gli estremi sono molto più contrari tra loro che ciascuno di essi in rapporto al mezzo, perché sono più distanti tra loro che dal mezzo come il grande dal piccolo e il piccolo dal grande, piuttosto che entrambi dall’eguale. Certi estremi poi  sembrano presentare alcune somiglianze col centro, come la temerarietà col coraggio e la prodigalità con la generosità; invece gli estremi non potrebbero essere più differenti. Ora, le cose più lontane tra loro le definiamo contrarie. Quindi le maggiormente contrarie sono le più lontane.

"Ciascuno degli estremi paragonato al centro - Quanto al punto di mezzo, l’opposto più netto a volte è il difetto, a volte l’eccesso. Così per il coraggio l’opposto non è la temerarietà. Che è un eccesso, ma la vigliaccheria, che è una mancanza. Invece per la temperanza non è l’insensibilità, che è una mancanza, ma l’intemperanza, che è un eccesso."

"Ragione di questa apparente relatività - Ora, questo accade per due motivi, di cui uno deriva dallo stato stesso delle cose. Infatti, visto che uno dei due estremi è effettivamente più vicino al punto di mezzo e gli assomiglia di più, non è lui, ma piuttosto il suo contrario che noi prendiamo per opposto. Così, quel che sembra rassomigliare di più al coraggio è la temerarietà, che è in effetti più vicina; quel che somiglia di meno è invece la vigliaccheria; e quindi lo prendiamo per opposto, visto che il più lontano dal mezzo sembra essere il più contrario. Ecco dunque un primo motivo, che deriva dallo stato stesso delle cose.
Il secondo invece deriva da noi stessi. È che i versanti verso cui incliniamo di preferenza, in qualche modo per natura, sono quelli che sembrano di preferenza contrari al mezzo. Così siamo personalmente più inclini per natura ai piaceri; quindi, siamo più volentieri portati all’intemperanza piuttosto che alla moderazione; dunque, chiamiamo più volentieri contrari i versanti verso i quali il nostro orientamento ci porta di preferenza e, per questa ragione, l’intemperanza, che è un eccesso, costituisce la disposizione interiore più contraria alla temperanza."

"Conclusioni - Abbiamo dunque detto che la virtù morale è una medierà, e abbiamo precisato in che senso lo è; abbiamo detto che è una medietà tra due vizi, uno per eccesso, uno per difetto; e che questo accade perché la virtù tende alla medietà sia nelle passioni che nelle azioni."

"Difficoltà dell’essere virtuosi - È chiaro allora perché è una cosa impegnativa essere virtuosi, visto che, in ciascuna situazione, è impegnativo identificare e seguire la via mediana: anche prendere il centro di un cerchio non è alla portata di tutti, perché bisogna saperlo prendere. Così arrabbiarsi è alla portata di tutti ed è cosa facile, come lo è dare del denaro a qualcuno e far spese; invece farlo nei confronti della persona giusta, nella misura, nel momento, per lo scopo e nel modo giusto, ebbene questo non è più alla portata di tutti né è cosa facile. Ecco spiegato perché il bene è cosa rara, lodevole e bella."

"Qualche consiglio - Mirando alla medietà, è quindi utile prendere le distanze da quel che è più contrario e seguire il consiglio di Calipso: “fuori da questi vapori e dal vortice tieni la nave…”
Dei due estremi infatti uno porta più dell’altro verso l’errore. Se quindi stare esattamente al centro è difficile, bisogna, come si dice, “prendere la seconda via navigabile” e scegliere il minore dei mali...
D’altra parte, si deve prestare attenzione alle nostre personali tendenze, perché ciascuno di noi ha proprie inclinazioni naturali. Ce ne renderemo ben conto se prestiamo attenzione al piacere e al dolore che proviamo. Il nostro dovere è orientarci in senso contrario perché allontanandoci molto dall’errore arriveremo alla via di mezzo, come fanno coloro che raddrizzano i legni storti.
Ma soprattutto è necessario stare attenti a ciò che è piacevole e desiderabile, perché manchiamo di imparzialità di fronte a queste cose. Quindi quel che provavano gli anziani del popolo davanti ad Elena, anche noi dobbiamo provarlo davanti l piacere e in ogni occasione ricordare le loro parole perché, se respingiamo in questo modo il piacere, sbaglieremo meno. Per riassumere, comportandoci così saremo nella posizione migliore per seguire la via mediana.

"Casi particolari e difficili - Certo facile non è, e ci sono casi particolari in cui lo è ancora meno.
Non è facile infatti definire come, contro chi, per quali motivi e per quanto tempo arrabbiarsi! A noi stessi infatti capita di dir bene di persone troppo poco irascibili, e lei chiamiamo bonarie, mentre in altri casi ci complimentiamo con coloro che reagiscono duramente e li chiamiamo virili.
Si dirà: non critichiamo di certo chi devia un po’ dalla rotta, in eccesso o in difetto; ma critichiamo chi devia molto, perché non passa inosservato. Tuttavia, fino a che punto e in che misura è criticabile? È tutt’altro che facile dare la formula per pronunciarsi su questo punto! Capita lo stesso per gli oggetti sensibili. Questo genere di dati fa riferimento a casi particolari e solo la sensibilità identifica le differenze. Tutto questo è sufficiente a far vedere come la via intermedia sia sempre da lodare, ma anche come talvolta sia necessario orientare la rotta verso l’eccesso o il difetto, perché è così che sarà più facile raggiungere il punto di mezzo e il bene."



Nota didattica.

In questo scritto Aristotele fa riferimento, per ben due volte, ad una tabella a cui rimanda e che però, di fatto, nel testo non è presente. Una tabella in Aristotele si trova, ma altrove (cioè in 'Etica Eudemia', B 1220).

Consegna: costruire la tabella delle virtù e dei loro opposti (la tabella che non c'è)

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