“Al cuore del nuovo libro di Eugenio Borgna c'è una riflessione molto tesa sulla sofferenza e la malattia, sulla loro significazione umana, con un continuo rimando alla lezione di Rilke: il dolore riconduce nella interiorità la esteriorità della nostra esperienza del mondo. E il compito di un medico sarebbe anche quello di riconoscere alla persona che "cade" nella malattia la ricerca oscura di un "altro" destino, comunque l'esigenza e la via di una trasformazione, paradossalmente più vicina alla vita rispetto a certe sue sonorità tanto vuote e assordanti.
Certo, se Borgna fosse solo uno psichiatra, per quanto straordinario, La dignità ferita (Feltrinelli) avrebbe potuto deragliare tra i vagoni plumbei di una disciplina che spesso sembra difettare di ogni vita. Ma Borgna, quel signore che nella stagione basagliana ha smantellato il manicomio di Novara, è un intellettuale innamorato di poesia e di letteratura, e quindi di musicalità delle parole, di filosofia - delle più ardite esplorazioni della mente piuttosto che di tecnicismi astratti. Con lui il pericolo di ritrovarsi per le mani un orrendo, illeggibile manuale non c'è mai stato, ne ha scritti tanti di libri bellissimi, difficilmente poteva esserci ora il rischio dell'aridità concettuale e della noia.
Qui - in queste pagine appassionate, coinvolgenti - del corpo ferito dalla malattia si parla innanzitutto come dell'espressione di un'intimità dell'anima oltraggiata dalla perdita della fiducia e della speranza. Borgna cita Guerra e pace di Tolstoj: il profondo dolore di Natascia suggerisce che ogni malattia, non solo quella psichica, ha una sua propria forma legata a diversi stati d'animo, alle emozioni meno trasparenti e dicibili. Lo stesso Thomas Mann, nei Buddenbrook, scrivendo del tifo che colpisce un adolescente, entra a pieno titolo nelle enigmatiche correlazioni tra anima e corpo, convinto già allora che ogni malattia somatica sempre si accompagna a risonanze psichiche decisive nell'aiutarci a resistere o meno alla malattia. Per dirla con la sobrietà elegante di Borgna, "non sono cose dimostrabili, ma il vivere e il morire sono intrecciati l'uno all'altro; e talora si muore quando non c'è più il desiderio di vivere, e talora non si muore quando ci sia il desiderio di vivere: questo, forse, è possibile immaginarlo".
... il pensiero di Borgna non esita ad allargarsi a una sfera decisamente politica, con una denuncia del silenzio, di quella che lui chiama l'indifferenza del cuore, davanti all'estremo dolore degli ultimi della terra - così vicini così lontani - che tutto lasciano alle spalle nella speranza spesso impossibile di cambiare la propria vita, anzi di salvarla. Secondo l'autore, non si coglie il dramma di ogni forma di malinconia e di solitudine umana, proprio come di ogni forma di emigrazione, se innanzitutto non si rispetta la presenza di una struggente nostalgia di vicinanza umana e di qualche accoglienza.
Ci sono modi di essere, forme di vita, che aiuterebbero a mantenere la dignità e a testimoniarne la grazia, con la possibilità di creare relazioni umane dotate di senso, più autentiche e creatrici. Qui Borgna chiama in soccorso un grandissimo come Iosif Brodskij, il Nobel russo per la letteratura nell'87, che poco prima di morire in un suo bellissimo saggio ricollegava la dignità umana alla gentilezza e alla civiltà dei modi: un modo di conoscere le persone e di prendersene cura, di evitare sempre le parole che feriscano, un ponte che consente di uscire dai confini angusti della soggettività a favore di invisibili alleanze e comunità di destino... "
Luciana Sica - Repubblica, 27 novembre 2013
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