giovedì 28 novembre 2019

Nessuna nostalgia

Corriere della Sera - 28 Nov 2019

Franco Venturini 

Macché nostalgia del Muro. Quello Stato era un carcere.



Si stava meglio quando si stava peggio, antico proverbio italico, si adatta assai bene al mondo di oggi. Non erano forse meglio, almeno per noi europei, le presidenze americane degli interventisti democratici rispetto al repubblicano isolazionista Donald Trump? Non era più stabile il tempo della guerra fredda rispetto al disordine globale di oggi? E via di questo passo, si può facilmente intonare uno struggente canto della nostalgia. Ma se la domanda diventa «si stava meglio con il Muro?», allora no, allora ogni argomentazione sottilmente geopolitica o ingenuamente avida di quelle regole che oggi mancano deve passare in secondo piano per ragioni umanitarie e libertarie, prima che strategiche o ideologiche.

Soltanto chi ha frequentato per molti anni l'Unione Sovietica e il suo impero europeo può capire appieno che cosa abbia significato, quel 9 novembre del 1989, la caduta del Muro. Nella Ddr (la Germania Est uscita dalla guerra), trasformata in prigione collettiva e per molti versi paragonabile alla Romania di Nicolae Ceausescu. Ma anche negli altri Paesi del blocco comunista, con le sole parziali eccezioni della Polonia e dell’Ungheria, che a caro prezzo riuscivano a conservare in quegli anni un minimo, ma davvero un minimo, di autonomia.

Ezio Mauro, noto a tutti come ex direttore di lungo corso di «Repubblica», ma prima di allora inviato nell’est europeo e brillante corrispondente dalla Mosca di Mikhail Gorbaciov, è uno di quei pochi che hanno pieno titolo per ricordare, per capire e dunque per raccontare. Leggendo il suo ultimo libro dedicato alle Anime prigioniere (Feltrinelli), l’interrogativo che pesa su questi trent’anni (noi Occidente abbiamo utilizzato bene o male la storica occasione offertaci dalla caduta del Muro, e due anni dopo dell’urss?) resta emblematicamente — e aggiungerei, minacciosamente — sospeso. Perché il volume di Mauro vuole portarci a capire piuttosto «che cosa» cadde con il Muro, quali sofferenze giustificavano la gioia quasi scomposta di chi attraversava finalmente il Muro senza rischiare la vita…

Ezio Mauro vede nel Muro «la follia del Novecento» e una clamorosa rinuncia alla ricerca politica del consenso, perché l’arbitrio e il sopruso raggiungono meglio e più efficacemente l'obiettivo di impedire l’orizzonte e cancellare il mondo esterno trasformato in «tentazione diabolica». Ma se questa era la ricetta imposta nella prigione Ddr, il comunismo comincia altrove a decomporsi, man mano che le riforme partite dal Cremlino gorbacioviano portano con sé tentazioni certo, ma di libertà…

Nella Ddr, quando a Lipsia e a Dresda le manifestazioni di protesta diventano massicce e minacciose per il regime, il comandante delle forze sovietiche dislocate ai confini dell’impero chiede a Mosca il permesso di intervenire. Senza sparare, soltanto per farsi vedere. Dal Cremlino non arriverà mai una risposta, i carri armati con la stella rossa non usciranno mai dalle caserme (Gorbaciov del resto era pronto al loro ritiro).

Così, con il Muro emblema estremo di una sclerosi politica degenerata in mania carceraria, cadrà nell’arco di due anni l’intero impero sovietico. Senza versamenti di sangue. E prendendo in contropiede un Occidente, impreparato a quella vittoria che la Russia di Vladimir Putin contesta ancora oggi.


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