Il 18 luglio del 1573 il pittore Paolo Caliari, detto il Veronese, che aveva appena finito di dipingere una colossale Ultima Cena lunga tredici metri, per il refettorio del convento veneziano dei Santi Giovanni e Paolo, fu convocato dal tribunale dell’inquisizione.
Fra le scene e i gesti rappresentati sulla tela gli viene contestato il gesto di “un commensale maleducato che si puliva i denti con la forchetta a due rebbi’’.
L’accusa era grave: interpretazione poco rispettosa del racconto evangelico.
Il pittore fu condannato a rifare il lavoro entro tre mesi, a proprie spese. Si salvò con un colpo di genio. In pochi minuti trasformò l’Ultima Cena nel Convito in casa di Levi, scrivendo il nuovo titolo a grandi lettere, sulla cornice dei pilastri che inquadravano la sala del banchetto: “Levi offrì al Signore un grande convito, come scritto nel capitolo quinto del Vangelo di Luca’’. E salvò anche il dipinto, oggi esposto alle Gallerie dell’Accademia di Venezia.
Lauretta Colonnelli
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