domenica 30 giugno 2024

La biblioteca di Borges

Borges parlava dell'universo come di una biblioteca e confessava di aver immaginato il paradiso “sotto la specie di una biblioteca”, ma le dimensioni della sua biblioteca personale erano deludenti, forse perché sapeva, come ha scritto in un'altra poesia, che il linguaggio può soltanto “simulare la sapienza”. Chi andava a fargli visita si aspettava una casa sommersa dai libri, mensole prossime a schiantarsi, pile di carta stampata che ostruivano i passaggi e sbucavano da ogni anfratto, una giungla di inchiostro e di fogli. Scopriva invece un appartamento in cui i libri occupavano solo qualche angolo discreto. Quando il giovane Mario Vargas Llosa andò a trovare Borges intorno alla metà degli anni Cinquanta, commentò la sobrietà dell'ambiente e chiese perché Il Maestro non vivesse in una casa più ampia, più elegante. Borges si offese moltissimo.”Forse a Lima si usa così,” disse all'indiscreto peruviano “ma qui a Buenos Aires non amiamo metterci in mostra”. 

Le due librerie basse del soggiorno ospitavano opere di Stevenson, Chesterton, Henry James, Kipling. Da lì una volta prese un piccolo volume rilegato in rosso, un'edizione di Stalky & Co. con la testa del dio-elefante Ganesha e la svastica indù che Kipling aveva scelto come suo emblema e che Borges cancellò durante la guerra, quando dell'antico simbolo si appropriarono i nazisti. Era la copia che l'adolescente Borges aveva comprato a Ginevra, quella che mi avrebbe dato come dono d’addio prima che lasciassi l'Argentina nel 1968. 

Alberto Manguel   Con Borges

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