domenica 9 febbraio 2025

Psicofarmaci e manicomi

Ci sono oggi delle pasticche, dei psicofarmaci, che hanno talmente cambiato i manicomi che in certi giorni addirittura non si riconoscono più, le urla sono taciute, i deliri rotti, le allucinazioni con i vetri affumicati.

Adesso accade che un uomo infuriato entra in manicomio e con poche pasticche, già il secondo o il terzo giorno, si placa, fa come un tizzone immerso nell’acqua, che frigge e fuma, ma non più sfavilla l’incendio.

… E rievocavo certe corsie dove i ricoverati avevano l'espressione lontana, volti depositati tra le lenzuola come teste di bambola, addirittura a volte assomiglianti a nuotatori sott'acqua.

E allora, ormai nella china, ormai dirupando nel pessimismo, in quel cinismo che tanto è stato deleterio, che ha consunto le nostre fibre, risorgevano in ridda le veementi interrogazioni contro quel dominio chimico, contro le pasticche cariche del psicofarmaco, capaci di mettere un'altra camicia di forza, forse a nostra insaputa per i malati più dolorosi. E mi sorgeva la prima sferzante domanda: “Ma prima i malati, i folli non erano più felici?”.

La pazzia è davvero una malattia? Non è una delle misteriose e divine manifestazioni dell'uomo? Non esiste per caso una sublime felicità che noi chiamiamo patologica e superbamente rifiutiamo? Mi ricordavo, per esempio, quasi che un'immagine all'improvviso raggrumasse tanti anni di visioni manicomiali, mi ricordavo, vedevo davanti a me, la G., la marinara, che veniva da Viareggio, dalla darsena, dove abitava; entrava nel prato delle agitate e finalmente si sfogava, era lei, si dichiarava tutta, montava sugli alberi, cantava, agilissima, una corsara, un'eroina, tersa nei lineamenti arrossati, fuoco negli occhi, una bandiera di oppressi che infine si distende nella aperta luce, essa infine libera nel suo regno, nel manicomio.

E subito, all'opposto, mi si alzava allora il ricordo del malato R. che arrivò grondante di colpe, disperato: “Sono io il colpevole, mi merito più della morte, frustatemi, seviziatemi, non c'è fantasia che possa servire a punire le mie ignominie” e continuò tutta la notte e il giorno dopo. Fu curato con gli psicofarmaci, e miracolosamente il suo dolore morale perse le punte, i contorni, si fece sempre più come un blocchetto di ghiaccio su una mensa estiva. E il quarto giorno, come uno che dall'anima si è sgravato di un enorme peso, con che piangente grazia mi ringraziò.

Mario Tobino  Le libere donne di Magliano

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