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sabato 28 marzo 2015
Democrazia in rete
"Negli ultimi decenni le forme di rappresentanza hanno subito molte contestazioni. E così adesso si reclama in misura esasperata l'espressione diretta della volontà popolare.
Cosa deve intendersi per "ultrademocrazia"? Diversamente dalla postdemocrazia a suo tempo teorizzata da Crouch e Dahrendorf, il concetto implica che la democrazia non è affatto esaurita, anche se sottoposta a una costante deformazione che la mette in pericolo. La tesi di Dominique Schnapper è che lo stress crescente cui essa appare sottoposta non venga dall'esterno – dagli ultimi totalitarismi o dai nuovi fondamentalismi – ma sia l'esito della sua stessa logica, spinta alle estreme conseguenze. Rispetto a coloro che hanno parlato di limiti della democrazia, o di "promesse non mantenute", l'argomento viene adesso rovesciato. Proprio per aver cercato di mantenere le proprie promesse fino in fondo, la democrazia rischia di avvitarsi in un cortocircuito dal quale non è facile uscire.
Se si guarda in maniera non superficiale a quanto accade, è evidente che le contraddizioni che oggi insidiano i regimi democratici vadano ricondotte al suo stesso dispositivo logico. I due paradigmi che della democrazia costituiscono gli assi portanti – e cioè quelli di sovranità e di rappresentanza – fin dall'inizio non si articolano senza difficoltà. Come integrare l'idea di "volontà generale", formulata da Rousseau, agli interessi, spesso in contrasto, degli individui che la compongono? Cosa fa dell'insieme di singoli cittadini un medesimo popolo sovrano? Dopo che a lungo l'apparato statale ha rischiato di soffocare la libertà individuale, da tempo assistiamo ad uno sbilanciamento del principio democratico verso il polo contrario. Ma con un esito altrettanto problematico. In un caso come nell'altro – sia per eccesso di sovranità statale che per eccesso di individualismo – a mettere in crisi le nostre democrazie è l'estremizzazione unilaterale di un vettore presente nel suo corredo genetico.
Lo stesso vale per la dialettica tra rappresentanza e partecipazione. Il meccanismo rappresentativo costituisce l'unica maniera, negli Stati moderni, di veicolare la volontà popolare all'interno delle istituzioni. Ma, come è stato ben presto chiaro, è impossibile trovare un modo di collegare stabilmente i rappresentanti alle intenzioni dei rappresentati. È ovvio che un certo grado di autonomia dei primi sia necessaria per liberarli da vincoli clientelari o interessi particolari. Ma il tradimento, tutt'altro che raro, delle aspettative degli elettori che ne è scaturito ha di gran lunga oltrepassato il limite, diventando una delle prime cause della disaffezione generale nei confronti della politica.
Anche in questo caso, per comprensibile reazione, l'ago dell'opinione pubblica tende da tempo ad oscillare in direzione opposta. A un eccesso di democrazia rappresentativa si contrappone adesso l'elogio di quella diretta. Se la rappresentanza, come è interpretata dai partiti, appare scarsamente affidabile, è necessario tornare ad una forma di partecipazione diretta, legando senza mediazioni la decisione politica alla volontà dei cittadini.
Lo strumento individuato, a questo fine, è oggi la rete. Che si tratti di un canale essenziale anche per la politica è fuori discussione. Tuttavia il suo uso indiscriminato non accanto, ma contro, le altre procedure di deliberazione minaccia di spingere la prassi democratica al di là dei suoi confini. Mai come in questo caso si può parlare di "ultredemocrazia", intendendo con tale espressione il controeffetto che un'opportunità, non controllata nella sua misura, può determinare.
Il rischio di un'utilizzazione spregiudicata del web – come lo sperimentiamo in questi giorni in Italia – è duplice. Intanto sta nell'ambivalenza costitutiva del medium. Che da un lato è veicolo di libertà, dall'altro di controllo. Esso include, ma anche esclude, secondo gli interessi di chi ne gestisce il funzionamento. Il secondo possibile effetto perverso della rete riguarda il suo uso in termini populisti. Attraverso di essa il leader può influenzare, utilizzandola ai propri fini, l'opinione pubblica. Ma anche farsene plasmare al punto di esserne governato anziché cercare di governarla."
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Roberto Esposito - Repubblica 23 febbraio 2014
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