Alle scuole superiori passavo le giornate a guardare l'orologio e a contare le ore in attesa dell'ultima campanella, quando finalmente potevo tornare a casa, chiudermi nella mia cameretta e ascoltare musica fino al momento di andare a dormire. Mi sentivo alienata, ma non sapevo perché. Ero bullizzata, mi prendevano in giro senza una ragione precisa. Ovviamente ero convinta che in me ci fosse qualcosa di sbagliato per natura. Ero sempre arrabbiata o depressa, avevo imparato a diventare invisibile. Me ne stavo per conto mio, parlavo di rado e passavo tutto il tempo a sentire dischi. Nelle pause tra una lezione e l'altra mi nascondevo nei corridoi o andavo a fumare da sola in bagno. Il mio corpo era presente, nei corridoi, in classe, in bagno, ma io non c'ero mai veramente. Non ero da nessuna parte.
Siccome non disponevo né delle parole né del concetto con cui elaborare quell'esperienza, non sapevo cosa mi stesse accadendo.
Mio padre mi ripeteva sempre un principio fondamentale di cui era l'esempio vivente: la sofferenza forgia il carattere: ciò che conta nella vita, non è la ricchezza, la popolarità o il potere.
Cynzia Cruz - Melanconia di classe
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