Il nostro punto di partenza è la considerazione della ridottissima comunicazione - e naturalmente di tipo particolare - circolante all’interno di un piccolo reparto di psicotiche croniche (1). Si tratta di pazienti tra i quaranta e i sessanta anni, quasi tutte ricoverate da più di venti anni, profondamente retratte e funzionanti secondo modalità ampiamente deficitarie o tuttora ampiamente produttive, tenacemente resistenti ad ogni cambiamento, apparentemente impermeabili o soltanto debolmente reattive agli interventi di tipo individuale o socio-ambientale effettuati in passato o tuttora in atto.
All’interno di questo gruppo lo scambio verbale pare effettuarsi soltanto per una piccola quota su di un piano di realtà e per una quota assai maggiore come verbalizzazione di fantasmi e contenuti deliranti. Ma, dominante, è il silenzio, intercalato dall’ ”agire” sia attraverso il gesto che attraverso la mimica, le stereotipie o l’impulso motorio. Molto spesso il parlare dei curanti non trova risposta oppure il dialogo resta rigorosamente circoscritto a tematiche elementari e concrete riguardanti la pulizia e la cura della persona, il cibo, le sigarette, i farmaci. L’interesse maggiore viene a focalizzarsi sulle questioni del “sopravvivere” quotidiano.
In un gruppo di pazienti di questo tipo l’obiettivo terapeutico centrale, da qualsiasi ottica esso sia intravisto e affrontato, non può essere che l’aumento del livello di comunicazione, prima ancora che il passaggio da una comunicazione psicotica a una comunicazione non psicotica, meta questa assai più lontana e il più spesso, al momento realisticamente improponibile in questi pazienti.
All’incremento della comunicazione è diretto, implicitamente o esplicitamente, ogni atteggiamento terapeutico che possa dirsi tale e ogni tentativo volto a trasformare l’ambiente o le relazioni sociali in modo da moltiplicare i “messaggi positivi”.
In tutta una serie di proposte dirette a questo scopo - proposte che debbono essere varie proprio perchè lo psicotico cronico risponde debolmente e imprevedibilmente - ha un senso preciso la ricerca e l’allestimento di “setting” particolari, volti a incrementare le capacità selettive dei pazienti. La psicoterapia con marionette o, almeno, la ricerca dell’uso terapeutico della marionetta, parte da queste basi...
(1) Si tratta delle pazienti della 1^ e 2^ unità di Abitazione e Cura (complessivamente tre gruppi di sedici pazienti) provenienti in gran parte dai reparti esistenti un tempo presso gli Istituti Neuropsichiatrici di S. Lazzaro di Reggio Emilia sotto la denominazione di “Agitate” o “Sorveglianza”.
M.P Prodi - M. Dolci Comunicare attraverso il burattino (Drammatizzazione di pazienti psicotiche) in Rivista Sperimentale di Freniatria e Medicina legale delle alienazioni mentali (1983)
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