In Grecia, l’ultimo e definitivo rito di passaggio era quello che accompagnava l'ingresso nell'Ade, scandito da azioni regolate da consuetudini plurisecolari, che iniziavano nel momento in cui il defunto esalava l’ultimo respiro e con gesto chiaramente simbolico gli venivano chiusi gli occhi e la bocca (Od. XV, vv. 424 - 26): il primo passo di un lungo rituale, seguito dal lavaggio del corpo successivamente avvolto nel sudario e oggetto della lamentazione funebre, nel corso della quale amici e parenti deponevano sul cadavere i propri capelli recisi in segno di lutto, e al cui termine il cadavere veniva incinerato o inumato.
Solo così, a partire da quel momento, si riteneva che l'anima del defunto potesse trovare riposo nell'Ade, alle cui soglie sino ad allora era stato costretto a vagare in uno stato di morte irrevocabile, definitiva, peraltro non ancora del tutto giunta al termine: come dimostra, o meglio come dice esplicitamente nell’Iliade l'ombra di Patroclo, apparendo in sogno ad Achille e rimproverandolo per non aver ancora dato sepoltura al suo cadavere:
“Tu dormi Achille e ti scordi di me:
mai, vivo, mi trascuravi, ma mi trascuri morto.
Seppelliscimi in fretta, e passerò le porte dell'Ade.
Lontano mi tengono l'anime, fantasmi di morti
non vogliono che tra loro mi mescoli di là dal fiume...
Eva Cantarelli Contro Antigone
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