Dispiegati di volta in volta per conquistare nuovi territori, reprimere moti nazionalisti o risolvere con la forza le dispute territoriali tra i due principali imperi globali dell'epoca, gli eserciti coloniali francesi e britannico erano in grado di mobilitare nel loro insieme diversi milioni di uomini su scala planetaria. Nessun generale, tuttavia, aveva mai ipotizzato di utilizzarli sul suolo europeo. Con l'eccezione di un intrepido colonnello francese. Il suo nome era Charles Mangin
Nel 1910 aveva dato alle stampe il controverso pamphlet La force noire, suggerendo per primo che la Francia avrebbe dovuto affrettarsi a trasferire un contingente delle proprie armate nere in Europa per non farsi trovare impreparata nel caso dell'atteso ennesimo conflitto con la Germania.
La questione era meramente demografica. Con i suoi sessantacinque milioni di abitanti l'Impero tedesco era in grado di reclutare quasi il doppio dei coscritti che la Francia poteva mobilitare tra i propri trentanove milioni di cittadini. A meno che Parigi non decidesse di estendere una qualche forma di leva ai sessanta milioni di indigenes delle colonie africane aggirando una volta per tutte l'ostacolo della superiorità numerica del nemico.
Nella visione di Mangin i tirailleurs dell'Armée d’Afrique non erano la feccia umana dell'Impero da sacrificare sul fronte al posto del proletariato bianco francese. Tutt'altro. Con la loro rettitudine e il loro attaccamento alla Francia forgiato sui campi di battaglia nelle guerre coloniali, essi rappresentavano agli occhi del colonnello la prova vivente dei progressi compiuti dalle arretrate popolazioni africane sotto la spinta della missione civilizzatrice che Parigi si era intestata.
Quattro anni dopo l'uscita del pamphlet, la carneficina sul fronte occidentale convinse i vertici dell'esercito francese a superare le ultime remore e ad autorizzare i trasferimenti dall'Africa.
Le prime navi militari con a bordo migliaia di soldati arabi e berberi, vestiti con le divise color cachi dell'Armée d’Afrique e l'inconfondibile mostrina con la mezzaluna simbolo dell'Islam, attraccarono al porto di Marsiglia alla fine di agosto del 1914.
Del pantano delle trincee allagate, oltre i reticolati di filo spinato ricoperti di neve, li attendevano i contadini e i proletari francesi della generazione in armi dei coscritti. Tra di loro si chiamavano poilus e poilus negres (poilus “pelosi”, in francese, erano chiamati in gergo i fanti francesi sul fronte avvezzi a lasciar crescere i baffi e la barba nei lunghi mesi in trincea).
Nel giro di un paio di anni la Francia completò il trasferimento sul fronte occidentale di 480.000 soldati reclutati delle colonie. Metà di loro proveniva dal Maghreb. Erano 170 mila algerini, 72 mila tunisini e 37 mila marocchini. Gli altri arrivavano per lo più dall'Africa occidentale francese, dal Madagascar e dalle Comore e da Gibuti. Più un contingente di 43 mila indocinesi.
L'esercito tedesco avrebbe potuto a sua volta impiegare i propri battaglioni neri: le cosiddette Schutztruppen di cui la Germania aveva ampia disponibilità nelle colonie in Tanzania, Ruanda, Burundi, Togo, Camerun e Namibia.
Le truppe dell'armata nera tedesca però non lasciarono mai l'Africa. E non soltanto perché le navi da guerra britanniche, che detenevano il controllo delle rotte oceaniche, glielo avrebbero impedito. Ma anche perché l'idea di fare arrivare una massa di uomini primitivi nel cuore bianco della civilissima Europa era un tabù troppo grande da infrangere.
Dall'antica bolla papale Dum diversas, con la quale nel lontano 1452 Papa Niccolò V aveva sdoganato la tratta degli schiavi tra le due sponde dell'Atlantico, autorizzando nel nome di Dio il re del Portogallo Alfonso V a “ridurre in perpetua schiavitù” i popoli “saraceni, pagani e altri infedeli” dell'Africa, erano passati oltre quattro secoli. E nel frattempo agli argomenti religiosi che fino ad allora avevano giustificato il colonialismo si erano aggiunti i dati empirici delle ultime scoperte in campo medico e antropologico.
Le teorie del razzismo scientifico avevano iniziato a circolare tra l'Europa e le Americhe a partire dalla metà dell'Ottocento…
Le ricerche di studiosi poligenisti come Arthur de Gobineau in Francia, Samuel Morton negli Stati Uniti, Carl Vogt in Germania avevano finito per convincere l'opinione pubblica più istruita che l'umanità fosse divisa in razze con distinti percorsi evolutivi. E che, tra tutte le razze, quella africana fosse la più primitiva. I neri non erano che una sorta di specie intermedia tra la scimmia e l'uomo. E come tali non potevano che assecondare il disegno della natura, di Dio e della storia, sottomettendosi al primato genetico, tecnico e morale delle superiori razze bianche europee.
Gabriele Del Grande - Il secolo mobile
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